Una visione del mondo che parta dallo stato del Pianeta
Può sembrare un approccio troppo vasto, io lo ritengo invece l'unico possibile. Ogni questione internazionale, nazionale, settoriale, di classe, di genere, di generazione dovrebbe partire da questo. Lo stato del Pianeta, a seconda di dove e
di come avverranno alcuni mutamenti strutturali egrandi migrazioni provocate dei cambiamenti climatici, avrà un'influenza pesante sui rapporti di forza economici,
sociali e geopolitici nel mondo.Chi pensa che l’ecologia nulla abbia a che vedere con la lotta per una maggiore giustizia sociale e un
diverso sistema economico compie un errore: il massimo sviluppo del liberismo coincide con la massima concentrazione di ricchezza in pochissime
mani, con lo sfruttamento incontrollato di tutte le risorse, naturali e non, e con il ritorno di forme estese di schiavitù e sfruttamento.
Accedere oppure no all’acqua,all’energia, all’istruzione e alla sanità, avere a disposizione terra da coltivare, industrie
sostenibili che mantengano l’occupazione, poteraccedere al credito in banche che non siano banche d’affari e speculative, avere un lavoro e un salario dignitosi, sono
questi, per usare un termine a me caro, veri e propri elementi di socialismo.
Lo stato del Pianeta ci dice invece da tempo chele emissioni di anidride carbonica sono ancora altissime, il cambio del clima interessa ogni parte della Terra, come l’aumento del livello dei mari, l’estinzione
di molte specie, la deforestazione, l'aumento delle aree desertificate e la scarsità di alcune
risorse vitali come l'acqua. Tutti segni di un cambiamento radicale delle condizioni
di vita per centinaia di milioni di persone. Mutamenti iniziati negli anni 80 ma che pochi presero sul serio. Ora che toccano le nostre singole vite, e incombono sul
futuro di chi verrà dopo di noi, con quarant'anni di ritardo, cominciamo a preoccuparci , ma finora con poche risposte convincenti,
in termini di cambiamento dei modelli di sviluppo.
I Governi degli Stati e le sedi internazionali sono più insensibili e meno propositive di quanto lo siano i giovani, molti movimenti femministi soprattutto in America, India e Africa, molte associazioni ambientaliste, singoli economisti
e alcuni partiti Verdi come in
Germania e Francia.
Siamo arrivati in tempi rapidi a quel
che Zygmunt Bauman prefigurava molto lucidamentenel suo libro “Vite di scarto” uscito nel 2005:
“la
modernizzazione è la più prolifica e meno controllata “linea di produzione” di rifiuti e di esseri umani di scarto. La sua diffusione globale ha sprigionato e messo in moto quantità enormi e sempre crescenti di persone
private dei loro modi e mezzi di sopravvivenza. I reietti, i rifugiati, gli sfollati ,i richiedenti asilo sono i rifiuti della globalizzazione. Ma non sono i soli rifiuti: vi sono anche le scorie che hanno accompagnato fin dall’inizio la produzione.” E infatti, se ci pensiamo, da quanti anni oramai
i Governi del mondo e le sedi sovranazionali si interrogano su“dove mettere i migranti” e in vari casi anche i rifiuti? Le vite di scarto e gli scarti del nostro modo di produrre e consumare sono un grande paradigma e insieme la cartina di tornasole di quanto il modello di sviluppo liberista sia arrivato al capolinea. E non è un caso che
i due fenomeni viaggino appaiati, con incroci inquietanti. Mentre alziamo muri
e chiudiamo i porti ai
migranti, domandiamo ai governi africani e del sud est asiatico, per un pugno di soldi, di prendersi i nostri rifiuti tossici, nocivi e urbani. E’ di questi giorni il rifiuto
di molti paesi asiatici di farsi ancora carico della mole enorme di plastica e rifiuti che l’Occidente
dirotta verso l’Asia (il 75% dell’immondizia del Pianeta). La Cina si era già tirata fuori due anni fa. Se venisse riconsegnata all’America, all’Europa, all’Australia anche solo una parte dei rifiuti che hanno mandato in Asia per decenni, queste tre aree sarebbero al collasso.
Sul fronte dei “rifiuti umani” invece,
l’Unione Europea paga la Turchia perché tenga chiusi nei suoi “campi profughi” alcuni milioni
di persone che fuggono da guerre e fame. La stessa cosa che viene chiesta alla Libia in cambio di denaro. Pur sapendo
che i campi turchi e quelli libici sono prigioni, quando va bene , e quasi lager
quando va male.
Invece di creare un nuovo ordine mondiale le sedi internazionali e i governi degli Stati e d’Europa hanno alimentato egoismi e soprattutto paure, distruggendo il
principio e la consapevolezza dell’interdipendenza che sola poteva e puòportarci a
cercare una convivenza solidale.
Domani infatti potremmo
essere noi a dover migrare, oggi ci sono questi confini ma se davvero milioni di persone dovranno spostarsi per effetto del clima, se interi territori saranno abbandonati,
anche i confini degli Statipotrebbero cambiare. E che senso ha difendere la “nostra” casa se domani potremmo aver
bisogno di andare a casa di altri? Il Pianeta è uno solo e si stanno
restringendo le aree abitabili e le riserve di acqua.
Le domande erano a questa altezza già negli anni ‘80 e ‘90 ed
è stato in quegli anni che la Sinistra mondiale e anche italiana ha smesso di cercare lesue risposte. E’ iniziata la lunga stagione della subalternità, come se al liberismo globalizzatonon vi fosse scampo. Salvo qualche limatura. Il risultato, detto molto schematicamente, è che le forze di sinistra
(di qualsiasi matrice fossero)sono state battute quasi ovunque e in alcuni casi
sono addirittura scomparse. Oggi salvo poche eccezioni dominano oligarchi e oligarchie, destre xenofobe ai limiti del razzismo, un centinaio di multinazionali e una cinquantina di Banche d’affari.
Come ebbe a dire Nelson Mandela: “la globalizzazione non sarà un processo neutro, essa costituirà un avanzamento per il mondo soltantose diventeranno problemi globali anche la fame, la sanità e l’istruzione negate a miliardi di persone. In caso contrario sarà l’ennesima
coperta stretta che terrà al caldo solo i paesi ricchi, le loro banche e le loro imprese”.
Una Sinistra che voglia avere un senso dovrebbe iniziare a riconoscere i suoi errori di analisi e di proposta e riprendere il cammino provando a leggere il mondo come esso veramente è, e non come ce lo rappresentano i poteri più forti.
Atterraggio in Italia
E dal Pianeta atterriamo bruscamente
in Italia, dove una Sinistra come
si deve, a mio parere, è scomparsa da parecchi anni.
Tante sono
state le discussioni sulla fine del Pci e ricorrente l'interrogativo se dopo ci
fosse ancora in Italia lo spazio per una forza di Sinistra. Io ho sempre pensato che ci fosse.
La svolta dell’89 fu fatta nel peggiore dei modi.Chi la propose la caricò di
tutti i possibili sensi di colpa. Invece di festeggiare la caduta del Muro, perché noi comunisti italiani non avevamo mai concepito il socialismo come un regime autoritario e
senza democrazia, prevalse lo sconcerto. Potevamo uscire dalle macerie del
muro, come un gatto spesso si salva dal terremoto, e invece restammo sepolti, quasi chesulle nostre spalle gravassero le stesse responsabilità del Pcus e dell'Unione Sovietica.
La peculiarità del comunismo italiano e la sua via democratica al
socialismo furono azzerate. Scomparve, da un giorno all’altro, quel
Pci che Gramsci aveva voluto radicalmente diverso dai partiti comunisti dell'est e che Togliatti definì“una giraffa”, a significare quanto fosse unico rispetto ad ogni altro partito comunista.
Non ho mai negato che una svolta fosse necessaria. Il
fatto è che svoltammo senza alcuna fierezza di ciò che
eravamo stati e arrivammo,frastornati e incerti, in una
terra di nessuno.
Perdendo durante il viaggio quasi tutti
i nostri migliori “bagagli”: le radici sociali che arrivavano ancora in tutta l’Italia, la buona capacità di analisi della realtà, le strutture territoriali e nei luoghi di lavoro, il volontariato di tante migliaia di iscritti, e soprattutto i due tentativi più innovativi, avvenuti entrambi negli anni 80 : l’incontro
con l’ecologia e quello con il femminismo.
Per uscire dalle macerie infatti non serviva tanto
o solo cambiar nome, come si illusero coloro che lo proposero. Il Pci indipendentemente dal crollo dell’est, segnava il passo già da qualche anno, faticava a innovare la sua cultura politica, tardava a capire letrasformazioni profonde, le nuove idee sullo
sviluppo e i movimenti sociali ( giovanili e femminili) e anche del
mondo del lavoro.
Alla fine degli anni ’70 e inizio anni ‘80 infatti qualcosa
si era mosso.
Molti ecologisti - ben prima che si formasse ilpartito Verde- si iscrissero al Pci o alla Sinistra Indipendente. Dalla fine degli anni ’70, Laura Conti, Giorgio Nebbia, Antonio Cederna, Carla Ravaioli, Massimo Serafini ,Valerio Calzolaio,Enzo Tiezzi e moltissimi altri dopo di loro, vengono eletti
in Parlamento dal Pci o chiamatinelle Giunte locali.
Dopo il tragico scoppio dell’Icmesa nel 1976 è Laura Conti a battersi per la fondamentale Direttiva Europea Seveso sulla Diossina, che stabilisce il tuttora fondamentale “principio di precauzione”; è Cederna, e con lui un nutrito gruppo di ottimi urbanisti comunisti, a evidenziare quanto dissestata fosse
l’Italia e a proporre il riassetto idrogeologico del territorio come grande e urgente opera pubblica e la necessità di
una nuova Riforma sul regime dei suoli; sono ambientalisti comunisti e sindaci di sinistra ad organizzare i primi scioperi ecologisti per la salvezza dell’Adriatico
negli anni ’80 e ad affrontare il tema della depurazione in Italia; al Congresso di Firenze dell’86, una settimana prima
di Chernobyl, prevalgono per 30 voti i nuclearisti, ma al Referendum dell’anno
dopo il partito cambia posizione su spinta dei suoi ambientalisti e il suo contributo sarà decisivo per vincerlo e per cominciare a proporre un nuovo modello energetico.
E sono le donne
comuniste, e tra loro molte femministe, che subito dopo Chernobyl aprono nel 1986 una significativa riflessione nazionale, articolata in varie città e Università, sul tema centrale del limite delle risorse. Coinvolgendo molte scienziate europee. E sono ancora loro, l’anno dopo a proporre un confronto con il femminismo italiano attraverso la Carta delle Donne, un testo che nel linguaggio e nelle proposte superava
la cultura dell’emancipazione e si apriva al tema della libertà femminile in tutte
le sue molte sfaccettature. Dopo la svolta non ripartimmo dalle due più grandi rivoluzioni pacifiche della seconda metà del Novecento. Anzi il Pds e i Ds furono se
possibile meno attenti di quanto non fosse stato il Pci. La battaglia degli ecologisti di sinistra e delle femministe continuò ugualmente ma raggiungere
risultati significativi fu difficilissimo.
Al momento della
svolta avevamo ancora gruppinumerosi
e significativi di ecologisti e di femministe e buone elaborazioni
e proposte per tentare di diventare un partito eco-socialista e femminista. Ma la maggioranza del gruppo dirigente scelse di essere una Sinistra senza alcun profilo distinguibile.
Poi dai primi anni 2000, anche quel poco che
restava della Sinistra dopo l’89 si sgretolaulteriormente: politicismi esasperati, l’illusione
della vocazione maggioritaria, i “nuovi contenitori”, il partito leggero.
Il tutto
si conclude ,nel 2007,con la nascita del Pd, unendo malamente ciò che a mio parere andava tenuto distinto: un Partito Liberaldemocratico e un Partito di Sinistra .
Anche chi non aderì al Pd porta la pesante responsabilità di non aver dato vita, in 12 anni, a un qualche soggetto politico con un minimo di senso. Quello che si è visto sono state un numero imprecisato di liste elettorali, fatte e disfatte il giorno dopo le elezioni. E inutili
posizionamentidi alcune persone (andate e ritorni) con gli occhi rivolti sempre a quel che faceva o non faceva il Pd.E
tra un governo Berlusconi , un Governo Monti e tre governi del Pd (Letta, Renzi , Gentiloni) siamo al 2018/19. Oggi una forza xenofoba e di destra come la Lega viene stimata al 36%, Meloni e Berlusconi, pronti ad allearsi con Salvini, fanno circa il 14%, il M5S che ha fatto dell’antipolitica
e del populismo la sua ragion d’essere e governa con la Lega sta attorno
al 20% . In quello che dovrebbe essere il campo alternativo c’è un Pd attorno al 22% , sempre in cerca di se stesso e del suo
profilo e pezzettini di sinistra che ,insieme o divisi, raccattano a mala pena il 3%. Che l’Italia abbia sterzato pesantemente a destra mi pare evidente. Che sia senza sinistra altrettanto.
Trarre fuori realtà dalla rappresentazione
Attraverso quali strumenti si costruisce e si consolida il potere reale di un gruppo dominante o di un sistema economico? Mi pare di poter dire che sempre
più spesso passa attraverso la rappresentazione della realtà che viene manipolata a seconda del risultato che si vuole ottenere.
Ad esempio, c’è la crisi economica, ma si può rappresentare la realtà come se non ci fosse;impieghiamo gli immigrati come operai nelle fabbriche del nord est, nelle campagne del sud e in oltre un milione di
nostre case per badare ai nostri anziani ma diciamo che non vogliamo immigrati e lasciamo quelli che lavorano senza i diritti fondamentali .
Come scriveva Simone Weil nel suo
libro “ La prima radice”: “ la paura e la speranza , generate dalle minacce e dalle promesse, sono il mezzo più
grossolano, da sempre adoperato da chi vuole perpetuare il suo potere” . La paura perché ottunde e paralizza, la speranza perché dopo la paura il bisogno più immediato
è quello della rassicurazione. Dal che possiamo dedurre già una prima importantissima considerazione: la buona politica dovrebbe essere quella
che cerca di non spaventare nessuno.
La destre invece han costruito incubi e sogni e per anni l’opinione pubblica ha sognato quei sogni e ha avuto quegli incubi. Le destre hanlavorato sulla paura nelle sue molteplici
forme: degli immigrati, della Cina che ci inghiottirà, dei poveri che vengono a mangiare nel nostro piatto, dei diversi, sulla paura per l’invasione del cortile di casa nostra, per lo stravolgimento della nostra cultura originaria, del nostro
Dio, sulla paura di essere aggrediti e violentati, non dall’uomo più vicino ma dal più straniero. E su quelle paure hanno costruito in buona parte le loro vittorie
elettorali passate e presenti, insieme a una deriva securitaria e xenofoba massiccia, che oggi sfiora il razzismo.
Nascondendo la realtà povera di un terzo del mondo, le molte guerre alimentate conle tante armi vendute ad aggressori e ad aggrediti,
i cambiamenti climatici, i diritti negati, le ingiustizie crescenti, il ritorno della schiavitù, risultati inquietanti di un liberismo fallimentare. Poi la crisi del 2008 ( una delle più lunghe e generalizzate) mette a nudo ciò che alcuni economisti e pochi politici dicevano già da anni: chi si prende il futuro di miliardi di donne e uomini, i risparmi, i diritti, la casa, la vita concreta e
le risorse ambientali primarie sono la grande finanza speculativa,
le banche d’affari, le società di intermediazione; le multinazionali di un mercato drogato e senza regole; le spese militari per armi inutili o addirittura tecnicamente sbagliate ( come
gli F35) e il traffico di armi per alimentare decine di guerre. Insomma chi ci
ruba il futuro non sono i migranti.
Eppure chi ha mai temuto le banche d’affari con le filiali sotto casa nostra che vendevano a tanti risparmiatori titoli tossici? O la grande finanzaspeculativa e un mercato senza alcuna regola? La paura è stata indirizzata dove si voleva che andasse. E nessuna Sinistra è riuscita a trarre fuori la realtà dalla rappresentazione che le destrene hanno fatto per anni e anni. Al contrario tante volte ha inseguito o ricopiato quella rappresentazione.
Trarre fuori realtà dalla rappresentazione che ne viene data, questo invece ha fatto e fa ogni giorno il femminismo: trarre fuori corpi,
materia viva, libertà, politica, relazioni , vita reale.
Credo che la Sinistra non esista
più da quando ha rinunciato ad una sua lettura della realtà, e dunque anche al proposito di cambiarla, rendendola migliore. Se non si ha più la forza
progettuale che serve, se la cultura politica èstantia e le pratiche politiche logore ci si dovrebbe rivolgere altrove, cercare in altri territori, andare dove non si è mai stati e soprattutto dove si scorge il nascere di pratiche diverse, di forze , culture e soggettività nuove. Se la sinistra vuole tornare a dire la sua non può prescindere dal fatto che le principali innovazioni sono venute proprio dal femminismo
e dall’ecologia.
In questi mesi, sotto la spinta
di centinaia di migliaia di ragazzi, molti si dicono convinti che affrontare
la questione del cambio climatico sia una necessità. I ragazzini e le ragazzine fanno
tutta la loro parte, temono per il loro futuro e manifestano in tanti paesi, lanciano allarmi e ci ritengono responsabili di non aver mantenuto gli impegni presi. Nelle stesse settimane in molte parti del mondo e anche in molti paesi
europei diversi movimenti delle donne, gruppi femministi e il movimento Non Una di Meno si sono fatti sentire l’8 Marzo con la loro piattaforma
generale, con una grande e costante battaglia contro la violenza maschile e contro il tentativo di colpire libertà femminile e autodeterminazione come è accaduto negli Stati Uniti, nell’America Latina, in Spagna, Polonia e Ungheria. Ma per cambiare le decisioni di governi nazionali e sovranazionali questi movimenti hanno bisogno, come
si diceva una volta, di trovare sponde politiche solide.
E allora la domanda secondo me è questa: c’è un partito in Italia (e uno schieramento politico europeo)
disposto a cambiare pelle, profilo e dirigenti e a mettersi in discussione fino a diventare una forza eco-socialista e femminista? Ci sono sindacati
capaci di rispondere alla loro crisi, da anni cosi evidente, assumendo come centrali i temi della qualità sociale e ambientale dello sviluppo? Perché crescano giustizia sociale, libertà
femminile, servizi materiali e immateriali alla persona, alla città e al territorio, energie rinnovabili, merci su ferro. E decrescano la concentrazione
di ricchezza, il razzismo e le nuove schiavitù, la violenza sessuale, l’uso dei combustibili fossili, l’impermeabilizzazione del suolo.
La scelta non è tra crescita e decrescita
Tra crescita e decrescita mi
sono sempre sentita stretta: un dilemma che non mi aiuta mai a risolvere i
problemi così come li vedo nella realtà. Credo che una Sinistra nuova sarà quella in grado di scegliere cosa può ancora crescere(svilupparsi) e cosa invece non può più crescere, perché il limite e la finitezza delle risorse sono una realtà e se ne sono accorti finalmente anche alcuni economisti. Il tema mi
pare sia quello della qualità sociale e ambientale dello sviluppo.
In questa cornice anche il lavoro e l'occupazione si trasformeranno: aumenteranno in alcuni settori mentre in altri diminuiranno, e figure lavorative oggi
inedite si affermeranno mentre altre usciranno di scena.
Se procediamo per grandi settori ( farò alcuni esempi molto limitati) direi che sicuramente
devono e possono svilupparsi tutti i servizi materiali e immateriali al territorio, alla città e alla persona , il trasporto di merci e persone su ferro e mare, la manutenzione
e il recupero, le reti di qualsiasi genere. Mentre non possono più crescere l'industria automobilistica com’è stata finora, l'edilizia che costruisce ex novo e speculativa, il commercio basato solo sui grandi centri commerciali, il trasporto su gomma in tutte le sue forme, il consumo di territorio agricolo, la cementificazione e impermeabilizzazione del suolo.
Sono servizi al territorio: il riassetto idrogeologico e la messa in sicurezza di tutte le aree a rischio, la rinaturalizzazione dei fiumi, il ristabilimento delle aree golenali, la riforestazione, lo spostamento del 30-40 % delle merci dalla gomma al ferro.
Sono servizi alla città: un ciclo dei rifiuti
capace di arrivare al recupero e al riciclaggio di circa l'80% dei rifiuti prodotti, trasporti pubblici di massa su ferro, piste ciclabili, reti idriche e fognarie rinnovate, la messa in sicurezza del patrimonio edilizio
in area sismica ma in genere in tutte le aree del paese perché il nostro patrimonio edilizio è bisognoso dovunque di manutenzione, se è vero che ogni giorno 10 milioni di italiani entrano in scuole uffici e ospedali che non hanno il certificato di agibilità statica aggiornato.
Sono servizi alla persona: tutti i servizi di cura alle persone anziane, ai bambini e ai disabili, ma anche tutte le strutture e i servizi culturali e associativi, che contribuiscono al rafforzamento del tessuto connettivo di una città.
Sulla
base di questi pochi esempi è più chiaro come cambi il lavoro e quali altre figure di lavoratori e lavoratrici possano nascere: in un sistema di trasporto
che tolga il 30-40% di merci dalla gomma, la figura del camionista andrebbe ad esaurimento e si trasformerebbe in quella
di un piccolo imprenditore che, invece di guidare il suo camion per ore ed ore, possiede alcuni containers e si occupa, nei centri intermodali, di caricarli e scaricarli dai treni e si preoccupa della qualità e puntualità del servizio. Questa riconversione significherebbe diminuire le emissioni di CO2 arrivando finalmente all’obiettivo che ci prefiggiamo da oltre 20anni. Inoltre togliendo il 40% di mezzi pesanti dalle strade, ridurremmo in modo sostanziale gli incidenti, aumentandola sicurezza stradale e diminuendo di
conseguenza la spesa sanitaria del Paese.
Anche la figura dell'operaio edile e l’impresa classica di costruzioni si trasformerebbero in una figura
professionale e in imprese capaci di fare recupero e manutenzione più che costruzione ex novo, manutenzione non solo del patrimonio edilizio ma anche del territorio ( aprendo finalmente il cantiere della più grande opera pubblica italiana che è sicuramente il riassetto idrogeologico) , un manutentore più che un muratore, un riparatore più che un costruttore, lavoratori e tecnici che mentre
riparano immettono anche nuove tecnologie di risparmio energetico e idrico,
per esempio. Anche l’aumento del numero di imprese che si occupanodi
servizi materiali e immateriali (cura, assistenza ,cultura, formazione e informazione)produrrebbero anch’esse molte figure professionali inedite ( in qualche modo già
lo vediamo da anni per gli anziani, anche se il termine badanti a me
sembra assurdo e lo sostituirei senz’altro con addetti/e ai servizi di cura).
Sono andata nel dettaglio per dare un’idea
di ciò che per me è riconversione dello sviluppo. Ma alla stessa maniera potremmo ragionare su energia, chimica, agricoltura e bonifica dei siti inquinati, un capitolo che in Italia non si apre mai ma riguarda quasi il 4% del territorio nazionale e 9mln di abitanti
che vivono in condizioni di rischio altissimo. Dunque la Sinistra che vorrei
dovrebbe avere una sua lettura del mondo eun’idea precisa dello sviluppo, che vuol dire cosa scegliere e cosa no.
E in questa idea del mondo il rapporto tra i sessi dovrebbe essere incentrato sulla libertà femminile.
Solo con questo respiro, io credo, ritroverebbero forza anche i temi della giustizia sociale e della redistribuzione della ricchezza
che oggi paiono non averne più.
La Sinistra delle piccole correzioni, degli aggiustamenti, quella che così facendo si è rivelata subalterna al liberismo, ha perso finoratutto quello che poteva perdere. Bisognerebbe trovare il coraggio di riconoscerlo.
Fulvia Bandoli